Sundown
I’m going back to 505
If it’s a seven hour flight or a forty-five minute drive
In my imagination, you’re waitin’ lyin’ on your side
With your hands between your thighs.
Cantano gli Arctic Monkeys.
E alla stanza 505 torna anche Neil (Tim Roth) in seguito a eventi tragici e circostanze assurde, per godersi Acapulco, indifferente a tragedie familiari e personali di portata enorme.
È lui il paradossale protagonista del nuovo lavoro di Michel Franco: Sundown.
Neil è un uomo imperturbabile, che non viene toccato da niente di quello che succede intorno a lui e non dà un accenno di preoccupazione o smarrimento neanche di fronte alla morte, la morte dei suoi familiari, la morte violenta di uno sconosciuto in spiaggia, una morte di cui rischia di essere accusato.
Questa sua indifferenza rispetto all’evento umano più importante e terrificante di tutti crea sgomento nellə spettatorə, che, da un lato, invidia la sua imperturbabilità e la sua scelta di fuggire agli eventi tragici per rifugiarsi in calde spiagge, e, dall’altro, giudica il suo egoismo nel fare scelte che causano un estremo dolore ai suoi familiari, riconoscendosi nell’urlo della sorella: “What’s wrong with you?”
Chi non giudica, invece, è Michel Franco, che ci accompagna in questo viaggio del protagonista nel suo Messico, senza alcun giudizio rispetto alla violenza, al tentativo di migliorare la propria condizione, alle tragedie umane e dei rapporti familiari. Ci racconta, però, il suo Messico dal punto di vista di ricchi turisti europei, con tutta la superficialità e l’esaltazione dei luoghi comuni che questa visione comporta.
Acapulco non è solo lo sfondo della storia, ma diventa protagonista, con tutta la luce del sole continuamente tesa a illuminare questo posto, che rimane però volutamente stereotipato e poco approfondito, come i personaggi che lo popolano. Riusciamo a stento a vederli bene, a riconoscerne i tratti, con dei primi piani rarissimi e che arrivano solo a metà del film.
Tutto il film rimane aggrappato volutamente alla superficie, resta sempre a galla, come i suoi personaggi, si rifiuta di immergersi in profondità ed è spietato nel suo racconto asciutto di un dramma dai toni tipici dell’esistenzialismo di Camus. Il personaggio di Neil, in effetti, potrebbe essere tranquillamente nato dalla penna dello scrittore algerino. Un moderno Meursault, la cui storia inizia con l’indifferenza che prova rispetto alla morte della madre: «Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so».
Il giorno dopo il funerale della mamma, Neil, proprio come Meursault, inizia una relazione con una donna incontrata in spiaggia, Berenice, (Iazua Larios) e assiste a un omicidio sulla spiaggia (nella storia di Meursault ne è lui l’artefice).
Proprio come il protagonista de “Lo straniero” di Camus, anche il Neil di Franco viene sottoposto a un processo, che è più morale che giuridico. In questo caso, il tribunale sono gli spettatori, che lo giudicano per il suo comportamento assurdo, per la sua indifferenza e la sua inettitudine anche nella difesa di sé stesso. Meursault, e forse anche Neil, viene condannato a morte ed è solo nella sua indifferenza verso il mondo e nella mancanza di significato e senso, che riscontra in tutto ciò che lo circonda, che riesce a trovare un attimo di felicità.
«Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora»
Albert Camus, Lo Straniero.