A touch of Peacemaker,  una ballata con John Cena.
Regia 3
Soggetto e sceneggiatura 3
Fotografia 3
Cast 3
Colonna sonora 3

Quando l’estate scorsa uscì al cinema The Suicide Squad nel mese di agosto mi divertii talmente tanto nei misfatti dei quei ridicoli expendables che ripagai il biglietto altre due volte per tornare con loro al macello di Corto Maltese. Mi portai dietro più gente possibile a gustare il disgusto eroico di quella ultima pietra miliare ..

Summary 3.0 bello

A touch of Peacemaker, una ballata con John Cena.

Quando l’estate scorsa uscì al cinema The Suicide Squad nel mese di agosto mi divertii talmente tanto nei misfatti dei quei ridicoli expendables che ripagai il biglietto altre due volte per tornare con loro al macello di Corto Maltese. Mi portai dietro più gente possibile a gustare il disgusto eroico di quella ultima pietra miliare con cui James Gunn, esule per un momento dal Marvel Cinematic Universe, ha firmato l’opera più memorabile del DC Universe, ovvero l’unica del filone che continuerò a rivedere, come Guardians of the Galaxy Volume 2 continuerà ad essere il solo titolo MCU che nei prossimi decenni avrò sempre piacere di riguardare mentre uscirà in sala la fase 20.

Ma non c’era solo il piacere di reimbarcarsi in quella semplice quest, fino all’esplosivo finale in salsa Kaiju movie, no, c’era anche una compassione elettrica che ti si appiccicava addosso, come le strambe tute di quei personaggi così buffi, ridicolmente “cazzuti” a cui ti sei affezionato nella loro evoluzione, empatizzando nei loro drammi interni, tifando per intravedere insieme a loro un’azione almeno giusta se non per il mondo, un po’ per se stessi, in un sistema corrotto. Quindi, quando poi vieni a sapere che è già in post produzione una miniserie su un personaggio come Peacemaker, non puoi che essere felice di pregustare una nuova avventura sull’homo americanus incaricato di eliminare chiunque ostacoli il progetto di Pace incarnato nella carne muscolare di John Cena, innescando nei lineamenti bambineschi della sua maschera tragicomica una graffiante satira all’immaginario cinematografico delle politiche estere e belliche dei servizi segreti americani. 

Poteva essere un qualsiasi altro dei personaggi della squadra (Weasel su tutti), ma James Gunn ha avuto carta bianca per scrivere 8 episodi, firmando la regia di 5, rimescolando i tratti ossessivi del suo cinema in una prima stagione dedicandola a Peacemaker, ritrasferito nella società a stelle e strisce per scongiurarne ora una minaccia interna ad essa, e attraverso la quale Gunn mette alla berlina le pulsioni più reazionarie e basse della provincia americana, ricombinando le tappe salienti della sua filmostrografia.

C’è Peacemaker, ma un’altra costola di Suicide Squad prende corpo in questa avventura secondaria: è il team di operatori annoiati che alla fine del film decidono di ribellarsi all’autorità di Amanda Waller, in particolare Economos (Steve Agee) e Harcourt (Jennifer Holland), che qui vengono mandati sul campo insieme a John Cena, e al loro fianco c’è Leota Adebayo (Danielle Brooks), la figlia in incognito di Amanda  Waller, che accetta un improbabile impiego come tirocinante, mettendo a rischio la relazione con la sua compagna per un’operazione di massima segretezza con l’obiettivo di scongiurare un misterioso complotto alieno che si muove invisibile nel quotidiano dell’anonima realtà periferica americana. Il ritorno a casa del figliol prodigo dal sinistro padre Auggie (Robert Patrick), con il quale non scorre di certo sangue benevolo, ribadisce ancora una volta come i rapporti tra genitori e figli alimentino ossessivamente il cinema blockbuster di Gunn, che sfrutta  il formato a episodi per ritornare ai tratti primigeni del suo cinema prima della ribalta con i Guardiani. C’è la provincia, con i suoi gelidi minimarket, le case su ruote tra i rifiuti, i condomini squallidi, la casette a schiera, un’urbanità dei margini iniettata sempre e comunque di quell’immaginario spettro dell’invasione degli ultracorpi tanto cari al regista di Slither, che non perde tempo per feticizzarli con quel gusto plastico per il mostruoso, dove senza soluzione di continuità si covano alieni fluorescenti e simpatizzanti neonazisti come nella famiglia di Peacemaker, cresciuto ad odio e sangue (e birra) da un redneck pronto ad aizzare le corna sotto il lenzuolo da KuKluxKlan.

Poi c’è Super, con improvvisati amici di infanzia incapaci di sintonizzarsi col mondo se non attraverso sofisticate tute piene di gadget, ci sono aquile domestiche come migliori amiche, e c’è una esplosiva colonna sonora di Rock’n’roll che ci fa sintonizzare sulle radici popolari di Peacemaker, un John Cena perfettamente calato nel ruolo e nel suo corpo, un bambino gigante dai sentimenti morbidi sotto la corazza muscolare che James Gunn catapulta in improbabili situazioni, svilendone la gelida mascolinità del suo antagonismo originale in un rocambolesco susseguirsi di gag slapstick, azioni di spionaggio pronte a esplodere in piogge ungenti di sangue, tra motoseghe, Gorilla e stormi psichedelici di farfalle che mirano (sempre) alla bocca e ridicoli siparietti da screwball comedy. Non c’è fine al meraviglioso mondo mostruoso di James Gunn, penna rovente nel puntare al cuore dei personaggi, ai loro rapporti calati nella genuina contemporaneità nella quale la solitudine si dissolve in una foto condivisa su un gruppo di squadra su Whatsapp creato a fine missione.

Tra una menata e una battuta eccessiva che sgrava, batte il cuore anche per il più sgradevole degli  antagonisti che può permettersi il nome di Judomaster. Do you wanna taste it? dei Wig Wam scandisce lo scoppiettante balletto dei titoli di testa in cui è coinvolto tutto il cast, senza lasciare fuori nemmeno l’anziano vicino di casa che ha due linee di dialogo in croce: Sì, ne vogliamo tastare ancora

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