Uno, nessuno e tanti villain: No Way Home
No way home è proprio un ritorno a casa, incominciato vent’anni fa con quella primissima corsa verso lo scuolabus per le strade del Queens e che ora si richiude (ipoteticamente) in questa ennesima puntata conclusiva del Marvel Cinematic Universe.
“Concludendo” la terza trilogia sull’Uomo Ragno di Tom Holland, tutta l’iconografia cinematografica del supereroe più amato daisempre (secondo solo al non altrettanto amato X-Men di Bryan Singer) giunge alla sua massima coronazione meta-contemporanea, tentando di far reggere l’intera operazione sull’elemento della nostalgia.
Commercialmente è un successo prima ancora di aprire le danze in sala per Kevin Feige & Co., perché tra il pubblico di No Way Home si sono guadagnati anche quello che ha continuato a vivere felice senza aver visto i due film precedenti del Tom Holland Universe (e che avrebbe voluto fare a meno anche dei due con Garfield, forse).
Ed è un successo che svela subito anche il limite maggiore di No Way Home: quello di stare osservando increduli un ritorno a casa vittorioso su tutti i fronti, una divertente e nostalgica operazione commerciale che travalica le reali qualità di un film che cinematograficamente, dopotutto, si accontenta di fare il furbo, se la furbizia è una virtù.
Incastonato com’è dentro l’universo ipertestuale dell’industria Marvel, sempre più ingombrante e fluida ormai tra l’opera fantascientifica e il fantasy, la frizione tra magia e scienza inizia e finisce per essere il pretesto per imbastire tanti (e troppi) sketch da situation comedy tra le due guest-star Tobey McGuire e Andrew Garfield, con i due fratelli minori che rimangono stupiti davanti alle ragnatele naturali del più grande (tanto per fare un esempio).
Il feticcio del multiverso dell’MCU diventa così un tentativo (parzialmente riuscito) di appropriarsi definitivamente dei meccanismi della soap-opera per costruirne una ancora più grande, con risultati tanto bizzarri quanto curiosi. È una puntata che fornisce subito le informazioni necessarie per chi magari si fosse perso quelle precedenti, tiene le redini delle trame secondarie (tanto che sembra di guardare un lungo prologo al prossimo Doctor Strange), e si preoccupa prima di tutto di riaprire per poi richiudere quelle trame cinematografiche “altre”, con tutte le conseguenti cicatrici rimaste aperte per i nostri Spiderman.
No Way Home lavora sulla memoria, costruendo un laboratorio divistico in calzamaglia che prima di sfoderare la lama della nostalgia sugli spettatori, si preoccupa almeno di riflettere sulla nostalgia di quegli stessi eroi/protagonisti verso quell’avventura che ormai si sono lasciati alle spalle.
D’altro canto, questi stimolanti risultati di scrittura convincono in parte (di regia, a parte qualche guizzo ben congegnato, non c’è tanto da strapparsi i cappelli), perché lasciando il giusto spazio ai buoni la forza di questa grande reunion tra villain viene smorzata a suon di cure. Perché se il film convince di più quando parla delle cicatrici per i protagonisti, convince meno quando alle cicatrici dei veri e tragici protagonisti si vuole direzionare tutto un discorso fin troppo ideologico sul concetto di guarigione, riducendo la memoria tragica e cinematografica del Goblin di Willem Dafoe (comunque la cosa migliore del film) ad una figurina cattiva da riparare perché semplicemente malato, mentre i nostri tre buoni moschettieri in calzamaglia sbandierano il loro concetto di etica con fierezza, forse confondendola pure con quello di morale.
Se questo capitolo può essere considerato una degna conclusione per le avventure di un Tom Holland sempre più scalmanato, costretto a mettere le proprie grandi responsabilittà nel piatto delle pozioni temporali del Doctor Strange per dare una seconda chance al migliore amico e all’amata Zendaya all’Università, possiamo allora prendere questo ritorno a casa come un simpatico divertissement, sforzandoci di soprassedere per una volta (ancora?) ai soliti limiti della produzione Marvel, che strizza evidentemente l’occhio al successo di quel bellissimo e non-meglio-identificato Into the Spiderverse, e tornando a casa storditi da un evento singolare e irripetibile tra gli urli e i tifi da stadio scatenatesi in sala per la prima volta dopo tanto tempo. Ma è un ritorno ad una casa in cui non vivrei, quindi No Way Home.