Freaks Out, svelare la realtà
Immaginatevi di essere nel 1943 a Roma, durante la Seconda Guerra Mondiale, quando i nazisti invadono la città. In questo scenario tragico, nel quale bombardamenti e rastrellamenti di ebrei accadono ordinariamente, si inserisce la trama di Freaks Out. Gabriele Mainetti per la seconda volta, dopo Lo chiamavano Jeeg Robot, torna al cinema con una storia che narra di eroi.
Gli eroi di Mainetti non sono i supereroi classici marveliani, ma ancora una volta sono persone che preferiscono vivere ai margini della società. I Freaks – Cencio, Matilde, Fulvio, Mario – guidati nel loro lavoro dal maestro Israel, si sostentano grazie al circo Mezza Piotta dove si esibiscono, mettendo in scena i propri poteri sovrannaturali. Sarà proprio la scomparsa di Israel che porterà i protagonisti a cercare fortuna altrove, al Zirkus Berlin diretto dai nazisti che occupano Roma in quel periodo.
Questo luogo diventa centrale per lo svolgimento della trama, perché inconsapevolmente i Freaks si consegnano a Franz, il pianista che lì lavora, il quale è ossessionato dalla ricerca di soggetti come loro per portare a compimento il suo obiettivo di salvare la Germania dalla disfatta.
Cerca dei “non uomini” che possano stravolgere il corso della Storia. Franz, in realtà, è uno di loro. E’, di fatto, un chiaroveggente e ha visto il suicidio di Hitler. Tuttavia, siccome nessuno gli crede, desidera essere una persona normale, uno tra i tanti.
Da questo punto in avanti, il racconto dell’antagonista è sbilanciato rispetto a quello degli stessi protagonisti, molto tempo è dedicato alla sua analisi, alla sua ossessione, alle visioni che lo perseguitano.
Si vede lentamente il crollo di un uomo, lo sgretolamento della sua salute mentale. Si percepisce la follia nei suoi dialoghi, nella sua gestualità e nei suoi sguardi, e per certi versi si potrebbe anche empatizzare con lui, fino a dimenticare la storia dei cinque freaks.
Eppure, la storia di Matilde è altrettanto misteriosa ed è la rappresentazione perfetta del “viaggio dell’eroe”. Compie un percorso di introspezione verso la scoperta di sé stessa, sperimentando prima angoscia e arrendevolezza. E’ la giovane e inesperta nella quale tutti ripongono fiducia, che, però, rifiuta questo ruolo perché spaventata di non essere all’altezza dei suoi poteri, che se non controllati possono uccidere.
Il rifiuto e l’accettazione di sé stessa si alternano per tutta la durata del film, fino al momento dell’illuminazione, quando prende coscienza di sé. E’, allora, in grado di gestire la propria potenza e salvare gli ebrei dai nazisti.
La struttura narrativa è, dunque, semplice e lineare, ciò che colpisce lo spettatore sono i temi trattati.
Il film ruota attorno alle dicotomie del “bene e male”, della “normalità e anormalità”.
La diversità, che nell’apparenza è la caratteristica dei Freaks, non appartiene loro, ma risiede nell’antagonista che agli occhi di tutti è solo un uomo come tanti altri. Ecco che Mainetti vuole mostrare la normalità per contrasto. I veri mostri non sono loro, ma i nazisti.
La diversità tra i personaggi sta nel fatto che Franz non cambierà mai. Non si accetta all’inizio, e non riuscirà a farlo nemmeno alla fine.
I Freaks, invece, progrediscono verso l’accettazione di chi sono. Si verifica lo svelamento della loro interiorità e della loro bontà, lentamente e attraverso i gesti che compiono. In maniera dirompente verso il finale, infatti, salveranno centinaia di ebrei dal viaggio della morte.
Il vero mostro è Franz, l’incarnazione del male.
Gabriele Mainetti ambienta una narrazione vincente in una pagina tragica della Storia. Sullo sfondo c’è la Seconda Guerra Mondiale, su di essa, però, si struttura un racconto che dentro di sé riesce a racchiudere anche ironia e leggerezza. Più volte, infatti, i vari personaggi, a modo loro, suscitano il riso dando respiro a un racconto drammatico. Si è catapultati in una Roma fantastica, i personaggi e le loro singole storie attraggono lo sguardo dello spettatore al grande schermo con curiosità. Mainetti, quindi, unisce alla drammaticità anche la spensieratezza senza la quale, probabilmente, non si potrebbe restare in sala per più di due ore. Vi è il giusto equilibrio tra fantasia e realtà, che danzano insieme portando lo spettatore sul piano della fantasia, ma facendolo riflettere sulla brutalità di un periodo storico che non deve essere dimenticato.