Welcome to Chechnya
di David France
Quando si dice: «questa è una storia dell’altro mondo» è perché rimaniamo scioccati e fatichiamo anche a crederla vera. Eppure quella raccontata in Welcome to Chechnya è una storia dell’altro mondo ed è anche vera. Parla di coraggio, di forza e di resistenza (no, non dirò resilienza).
In una terra lontana migliaia di chilometri dall’Italia stanno accadendo dei fatti che è quasi impossibile raccontare, non è possibile raccontarli anche perché le persone che sono coinvolte non possono essere riprese dalle telecamere, vivono in segreto, nascosti dal governo e in cerca di documenti per l’espatrio e la richiesta di asilo in altri Stati, come il Canada. Il regista, David France, non si è scoraggiato e ha voluto raccontare la resistenza della comunità LGBTQ+ in Cecenia e in Russia. Ha voluto mostrare quei volti, quei visi che imploravano pietà e giustizia. O meglio, i volti non sono proprio quelli “originali”. Alcuni volontari, infatti, hanno “prestato” la propria faccia ai protagonisti del documentario, in modo che si potessero inquadrare i soggetti e allo stesso tempo renderli non riconoscibili. David France e la sua troupe hanno deciso di utilizzare il deepfake per salvaguardare l’identità delle vittime. Prima di aprire a delle considerazioni sull’utilizzo del deepfake, facciamo un passo indietro.
Siamo in Cecenia, Repubblica della Federazione Russa, dove dalla seconda metà degli anni dieci del Duemila sono stati commessi molti crimini contro la comunità LGBTQ+, tra cui torture, deportazioni, arresti e uccisioni. Chiaramente, il governo, nella persona di Ramzan Kadyrov, non ammette la propria responsabilità per una semplice motivazione: «Non ci sono gay. Se ne trovate portateli in Canada. Preghiamo Dio di purificarci, se ce ne sono portateli via».
Davanti a queste parole cosa si può dire? Il commento lo lascio al lettore. E davanti a queste parole cosa si può fare? Se lo sono chiesto David Isteev, Crisis Response Coordinator della rete LGBT russa e Olga Baranova, Direttrice del Moscow Community Center per iniziative LGBT.
Insieme hanno creato una rete di supporto per le persone che vogliono scappare dalla Cecenia perché private della libertà di essere se stesse e che potrebbero rischiare di essere catturate.
Il coraggio sta da entrambe le parti, ovviamente, in chi scappa e in chi fa scappare. Welcome to Chechnya si muove tra una intricata serie di storie, passa da un personaggio all’altro, spesso senza terminare la narrazione e, credo, con uno scopo ben preciso: quelle storie non sono terminate, c’è ancora speranza.
Possiamo tornare ora al deepfake. Nei primi minuti del film si percepisce leggermente che il contorno dei visi non è naturale, come se avessero avuto delle ustioni. Ma poi la “realtà” viene a galla e si capisce che quelle sono altre persone, come dicevo prima, volontari che hanno “prestato” la propria faccia. E allora, se questo escamotage ha permesso a France di riprendere integralmente i visi e poi di coprirli in post-produzione, possiamo pensare anche a un’altra implicazione: significa mettersi nei panni degli altri teoricamente, digitalmente e praticamente, significa scottarsi con una materia che per troppo tempo è stata denigrata. È un’operazione che ci dice anche che in quella situazione potrebbe esserci chiunque, perché le libertà e i diritti continuano a mutare ed è per questo che il processo di resistenza non si conclude mai, la resistenza contro un potere soverchiante.
Si discute spesso, forse troppo spesso, di quanto il documentario rappresenti la realtà autentica o la sua invenzione, di quanto più sporche sono le riprese tanto più è vero. Beh, Welcome to Chechnya ci aiuta a fare un passo in più: tutto ciò che vediamo è reale, anche quello che non lo è. Non sono reali i volti dei protagonisti, ma sono reali le persone che sono inquadrate e le emozioni, così reali e vive, riescono a oltrepassare la maschera.
Mascherare, falsificare, contraffare e occultare in Welcome to Chechnya riescono a rendere più vivida la realtà di quanto altri documentari “perfetti” siano riusciti a fare.
In attesa che le cose cambino, Goodbye Chechnya!