La parte maledetta
Poter vedere La parte maledetta, nelle sue due parti in programma a Meet the Docs! Film Fest, è un’occasione per riflettere su elementi che attraversano la nostra contemporaneità in maniera forte, da un punto di vista culturale. Da una parte abbiamo il teatro contemporaneo, con due dei suoi interpreti di maggior interesse, la coreografa Paola Bianchi e il regista teatrale Massimiliano Civica, e dall’altro troviamo l’audiovisivo, nella sua declinazione documentaristica. Sono necessariamente mondi così distanti?
Non è una domanda né superficiale né legata alle singole discipline, piuttosto è un quesito che suggerisce riflessioni molteplici. Da un lato, ci si chiede se sia praticabile l’ipotesi che i singoli interpreti possano trovare una forma di sincretismo, di equilibrio, qualcuno dice di compromesso, perché — nel momento dell’incontro — una disciplina non fagociti l’altra, perché non sia (solo? Anche?) teatro filmato o documentario teatrale.
D’altro canto, è opportuno riflettere sulla funzionalità e la primogenitura del motore produttivo e creativo, per cui diventa cruciale chiedersi se il documentario possa rappresentare un completamento artistico, performativo, dell’opera teatrale stessa, che quindi la presupponga nel momento dell’ideazione e vi dialoghi come si dialoga con un elemento della drammaturgia, per quanto — per così dire — postumo. Senza dimenticare che il documentario non è e non può essere una mera riproduzione del reale, quanto una sua rappresentazione creativa, che ha regole narrative e altrettanto drammaturgiche, e mai pretestuose, rispetto alla narrazione del reale.
Alla luce di questo, è forse invece possibile e sensato — che è forse l’ultima questione in ballo — strutturare una relazione, un’ibridazione tale per cui possa essere possibile salvaguardare l’autorialità tanto del documentarista quanto del performer o dell’autore teatrale, e i loro rispetti prodotti culturali?
I due documentari di cortometraggio in questione ci aiutano a proporre una possibilità, senza dare risposte, ma provando ad abitare un tempo e uno spazio comuni, pur declinati in maniera diversa rispetto alle singole discipline. Ciò che si prova a fare è a costruire un’altra esperienza, un’altra proposta culturale che non sia la semplice somma delle altre due e che non veda né l’una né l’altra svolgere una funzione semplicemente ancillare.