Sweet Tooth: un altro mo(n)do è possibile
Negli ultimi decenni è sembrato quasi inevitabile, a volte ripetitivo, spesso banale, raccontare l’uomo (e soprattutto la sua umanità) attraverso una rivoluzione delle sue certezze e della sua centralità nel mondo, capovolgendo i presunti equilibri di potere tra il mondo stesso e tra chi lo popola e pensa di dominarlo. È così che l’industria dell’intrattenimento visivo, tra disastri naturali, improvvisi blackout, malattie falcidianti e invasioni aliene ha trovato l’unico modo per tratteggiare la decadenza contemporanea, mettendo i propri personaggi di fronte alla fine (spesso addirittura al di là), relegati alla sopravvivenza, costretti nel ruolo di chi subisce la catastrofe e deve superarla o provare a convivere con essa. Il proliferare di questo tipo di storie ha quasi saturato il mercato cinematografico e televisivo di genere, proponendo spesso lo stesso copione fatto di personaggi mono-dimensionali che lottano per mantenere una parvenza di umanità di fronte agli istinti di sopravvivenza, contrapposti a chi ha scelto di abbandonare la morale, in un mondo che non digerisce i compromessi.
È proprio grazie a questo contesto che Sweet Tooth riesce a collocarsi come una novità all’interno del genere, riuscendo a rinfrescarne le regole, cambiandone il punto di vista e rinnovando una narrazione (anche del reale) che era arrivata a vivere di stereotipi e ripetitività: il nostro eroe non è più un leader cinico e tenebroso pronto a tutto per salvare il proprio gruppo in un mondo spietato, ma ha gli occhi ingenui e stupiti di un bambino di dieci anni con le orecchie da cervo che quel mondo non lo ha mai visto, ma deve attraversarlo per riuscire a scoprire sé stesso attraverso un sentiero fitto di personaggi e microtrame destinate a convergere. Un classico viaggio di formazione dalle tinte fiabesche che non solo ci racconta, molto meglio di quanto abbiano fatto molti prodotti simili, di un mondo sull’orlo del precipizio e della lotta per la sopravvivenza, ma riesce a non trascurare quei tratti che rendono umani i suoi personaggi: i sogni e i bisogni, le debolezze, la perdità dell’innocenza e il peso delle scelte fatte e da fare ci restituiscono comunque un quadro dalle tinte colorate (anche se non mancano i momenti drammatici) in cui sembra sempre che possa esserci una speranza, nonostante la morte, la violenza e le ingiustizie. Sweet Tooth riesce a dirci che il mondo, visto attraverso lo sguardo candido di un bambino la cui diversità lo rende un facile bersaglio, può essere comunque un luogo che vale la pena di essere cambiato e che, proprio grazie a quelle diversità, può cambiare in meglio.