L’insulto di Ziad Doueiri: la liberazione dalla gabbia interiore del passato
Presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia L’Insulto ha vinto la Coppa Volpi per il miglior attore, premio assegnato a Kamel El Basha (Yasser,) ed è in corsa per la nomination come miglior film in lingua straniera agli Oscar 2018.
Nella precaria stabilità della contemporanea Beirut è un acceso diverbio a dare inizio alla narrazione al centro della pellicola firmata dal regista libanese Ziad Doueiri.
L’Insulto, uscito nelle sale italiane nel dicembre del 2017, è un film la cui visione è oggi necessaria nel tentativo di mettere a fuoco questioni politiche e sociali alle quali talvolta non viene accordata la giusta attenzione. Lo scambio verbale che intercorre fra i due protagonisti, il cristiano libanese Tony (Adel Karam), falangista nostalgico di Gemayel, e il capocantiere rifugiato palestinese Yasser (Kamel El Basha) è origine di una disputa legale che velocemente si tramuta in uno scontro mediatico e politico che coinvolge un’intera nazione. È grazie a un climax crescente di avvenimenti e tensioni che il regista riesce a ritrarre una rabbia nutrita da una pacificazione mancata.
La “stupida parola” rivolta dal palestinese Yasser al libanese radicale Tony pare fin da subito destinata a essere origine di un contrasto che perderà velocemente i caratteri della questione privata.
Ai due protagonisti della pellicola, totalmente immersi nella contemporaneità del loro paese, diversi per credo religioso e appartenenza “etnica”, viene negata la possibilità di sanare lo scontro verbale iniziale dalla frase violenta che Doueiri fa pronunciare a Tony, evocando la figura di Ariel Sharon nel tentativo di schiacciare e umiliare il profugo palestinese. Yasser, provocato e ferito, non riuscirà a ripetere tali ingiuriose parole, delineando in tal modo un personaggio con enorme senso di dignità e di cui si coglie la volontà di sottrarsi alle vesti della vittima.
L’inopportunità o l’impossibilità di pacificazione tramuta il film nel racconto di un dramma giudiziario classico: le posizioni dei contendenti appaiono dapprima rigide e distanti, per poi polarizzarsi ulteriormente anche a causa delle strumentalizzazioni ad opera dell’opinione pubblica, ma che all’atto conclusivo lasciano spazio a una possibile conciliazione.
Così, sebbene sia indubbiamente apprezzabile l’approccio lineare e diretto con cui il regista allestisce il copione riuscendo nell’impresa di raccontare la complessa realtà del Libano odierno, il film pare anche avvalersi di qualche trappola emotiva di troppo e di un procedere degli avvenimenti il cui l’esito si fa ben presto prevedibile.
Ma il motivo dell’interesse che questa pellicola ha acceso è da rintracciare nel soggetto: i delicati equilibri che sorreggono la storia del Libano postcoloniale, l’inesauribile stato di guerra civile, l’immigrazione palestinese interpretata come una minaccia, le stragi, i massacri e le ritorsioni ai danni della popolazione civile animano il composito e drammatico retroscena che questo film intende raccontarci. La contrapposizione dei due protagonisti concede spazio a una importante riflessione: l’amnistia al termine degli orrori della guerra civile non ha portato con sé alcuna reale riconciliazione. Ma al contrario pare aver favorito un’apparente perdita della memoria e la cristallizzazione del dolore.
L’Insulto palesa come nessuno possa rivendicare il monopolio della sofferenza, non si avverte difatti alcuna urgenza che il processo riconosca innocenti e colpevoli in quanto entrambi i protagonisti indossano i segni di un indicibile passato, che il regista fa riemergere durante il dibattito processuale costringendo lo spettatore a riformulare le convinzioni fino ad allora acquisite.
Così, mediante la contesa divenuta conflitto nazionale, il film ci consegna in modo lucido e onesto le in-sofferenze della popolazione nei confronti di uno Stato che non ha saputo favorire alcuna rielaborazione del drammatico e incombente passato.
L’Insulto è innegabilmente un film ottimista e immensamente umano che auspica con fiducia l’edificarsi di un nuovo tempo per i rapporti interetnici, religiosi e politici.