Shin Godzilla, è tornato (per davvero questa volta)
E’ uscito in sala, per tre giorni in tutta Italia, quello che molti non andranno a vedere perché o non sanno cosa sia Shin Godzilla, o ne avevano sentito parlare come di una leggenda lontana ormai, per poi dimenticarsene e infine scoprire a tre giorni dall’uscita l’esistenza effettiva di questo film (uno di questi è il sottoscritto) o ancora perché qualcuno tra i più appassionati non avrà esitato a vederlo in altri modi un po’ di mesi fa pensando che una distribuzione in Italia non l’avrebbe mai trovata.
Ecco, dopo quasi un anno dall’uscita nelle sale giapponesi dove ha sbancato botteghino, divenendo una sorta di neopellicola mitica e leggendaria, anche noi abbiamo avuto l’occasione di vederlo, o almeno quei pochi di noi che sapevano di questi tre fantastici giorni di proiezione in alcuni circuiti di cinema in tutta Italia.
Ma perché tutta questa mitizzazione per Shin Godzilla? Facciamo un passo indietro. La figura di Godzilla è entrata, grazie al mezzo cinematografico, di prepotenza nel folklore nipponico già grazie allo storico film del 1954 di Ishiro Honda; questi aveva potuto mostrare al popolo giapponese la sua nazione finzionalmente distrutta, pestata, ridotta in macerie da un rettile di dimensioni spropositate, che altro non era che un mimo ventenne nelle vesti di esso. Una distruzione che non mirava a cercare il semplice sguardo stupito e terrorizzato come quello degli spettatori davanti alla Stazione di La Ciotat dei Lumière, visto che le immagini di Nagasaki ed Hiroshima non erano ancora un ricordo molto lontano (solo nove anni erano passati da quelle due fatidiche giornate), ma che indagava più fondo la sua semplice e rivoluzionaria idea di monster movie.
Inoltre Godzilla (con un altro titolo) era già apparso in due pellicole precedenti alla seconda guerra mondiale, rispettivamente del ’33 e del ’38, purtroppo andate perdute, entrambe pregne di intuizioni profetiche sull’uso e la paura dell’energia nucleare.
Come tutti i film cult, l’icona di Godzilla ha innescato una reazione a catena di seguiti, reboot e spin-off (non si può non menzionare King Kong versus Godzilla del ’62) fino ai giorni nostri, dimenticandosi della valenza simbolica del primo film in cerca di un intrattenimento ormai inflazionato, vuoto e stantio.
A questo ha contribuito anche l’industria americana con il trascurabile Godzilla di Roland Emmerich, un’insalatona – venuta male – del mostro giapponese, di Alien e di Jurassik Park, che finiva in una soluzione finale talmente trash ormai divenuta cult. Tre anni fa uscì un altro reboot diretto da Gareth Evans con Bryan Cranston e Aaron Taylor Johnson, un film che non mi era dispiaciuto per nulla, soprattutto per un’iconicità recuperata dagli albori della saga e messa in scena magistralmente, ma tuttavia penalizzato da una serie di cliché tipici del blockbuster catastrofico statunitense davvero fuori luogo.
Dal 1954 possiamo ora tornare a noi, focalizzandoci su Shin Godzilla. Diretto da Hideaki Anno, figura centrale per l’animazione giapponese grazie al cult distopico Evangelion, con l’aiuto di Shinji Higuchi, altra figura di punta per la trasposizione live action della nota serie “L’attacco dei giganti”, il film ha avuto un grande successo sia in Giappone sia all’estero (seppur in maniera decisamente minore).
Questo ultimo capitolo, o remake, è un film strepitoso, non facile, ma sentito e necessario, dove Godzilla torna a riacquisire la sua vera carica catalizzatrice delle paure di una Tokyo (e con essa di tutto il mondo) ancora provata dal disastro alla centrale nucleare di Fukushima avvenuto del 2011. Film intelligente anche nel trattare il tema e l’icona del mostro: questo infatti è stato rappresentato come nel film del 1954, con uno splendido pupazzo per ovviare alla ‘dittatura’ degli effetti digitali ormai predominanti negli ultimi anni. Con la conseguenza appunto che il Mostro, comunque aiutato da precisissimi artifici digitali, lo vediamo poco. È un presenza, la avvertiamo, sappiamo che sta distruggendo vie, case, ponti e palazzi, ma è lì fuori, e noi, spettatori, siamo costretti a seguire per una buona parte del film discorsi, litigi e riunioni di ministri, scienziati e biologi coinvolti burocraticamente a trovare una soluzione. Un film appunto non facile, perché molto dialogato, dove l’azione viene mostrata poco, come quando in una lunga partita a scacchi – prima che l’avversario faccia scacco matto – è meglio fermarsi, ragionare e valutare. Questa sceneggiatura che cerca di aprire lo sguardo verso tutto il mondo, all’America, Germania e Francia, ci mostra uomini calati dentro al loro dovere di politici e biologi, un’umanità che aspetta qualche secondo ancora prima di perdere definitivamente la speranza davanti alla tragedia naturale (o umana che sia). Antispettacolare per questa virata estrema di cronaca, molto giornalistica, se si pensa alle continue, a volte estenuanti, didascalie che ci indicano rilevanza politica e luogo di personaggi e luoghi che vediamo anche solo per qualche secondo. Doppiaggio a volte davvero mediocre, soprattutto per le parti in inglese, ma anche necessario per la mole di dialoghi. Tuttavia questo non impedisce al film di raggiungere momenti di grande spettacolarità, soprattuto quando appare Godzilla, e quelle poche volte che lo fa è davvero uno spettacolo. Infatti la regia di Anno, venuto dall’anime e per questo aiutato da Shinji Higuchi, più esperto nel campo della live action, è precisa a muoversi dagli interni agli esterni, spesso utilizzando soggettive da computer e smartphone per riattualizzare ancora di più il contesto catastrofico nella contemporaneità, e a orchestrare drammatiche scene in cui Godzilla è l’indiscusso protagonista; se poi parte il tema musicale del film originale rimane solo un grande applauso da fare in sala (anche se eravamo tre gatti).
Prima vediamo Godzilla in uno stadio iniziale, grottesco, aggirarsi con il volto raso terra e due occhi giganti, quasi fosse un drago tipico delle festività nipponiche, per poi crescere, mutare la pelle, lo sguardo ora minaccioso e la postura su due zampe come il Godzilla che Ishiro Honda mostrò per la prima volta 60 anni fa; un Godzilla rigido, quasi immobile, ma tremendamente più fisico, spaventoso e maestoso come una divinità intoccabile e punitrice dei peccati dell’uomo. Non un semplice ritorno nostalgico ma un recupero necessario di un certo cinema per raccontare ancora una volta la realtà attuale.
Un male indistruttibile, nato dal nucleare, che si alimenta di esso e per questo sempre più pericoloso. Conviverci è l’unica soluzione, rimandarlo ai giorni successivi, sperando che l’umanità sia ancora una volta più consapevole e pronta di ciò che un errore fatto oggi potrebbe provocare un domani.