Moonrise Kingdom. Una fuga d’amore
Moonrise Kingdom, USA, 2012, Wes Anderson (R.), Wes Anderson e Roman Coppola (Sc.)
Wes Anderson si può amare od odiare, ma una cosa certamente gli va riconosciuta: è dannatamente elegante. Nella costruzione del quadro, nei movimenti di macchina, nella fotografia, nella scelta delle location (e nella costruzione dei set), nel look dei personaggi, e, a conti fatti, in ogni aspetto di ogni suo film. Moonrise Kingdom non si sottrae certo a questa regola e risulta essere un continuo piacere per gli occhi. E neppure si sottrae alle altre regole del cinema di Anderson: gli spettatori aficionados riconosceranno certamente i ben noti toni da commedia drammatica velata di fantastico e, a tratti, grottesco, che da sempre caratterizzano lo stile di questo regista, così come il suo sguardo ambiguo sull’infanzia e la famiglia. Che, ancora una volta, e forse più compiutamente che altrove nella filmografia dell’eccentrico cineasta americano, rappresentano i due temi protagonisti del film. Perché la storia dei giovani Sam Shakusky e Suzy Bishop, che fuggono alla conquista di un loro angolo di isola (il “Moonrise Kingdom” del titolo), inseguiti e braccati da familiari, polizia e chi più ne ha più ne metta, altro non è che una continua serie di conflitti e corteggiamenti tra l’infanzia/adolescenza (e la ricerca di un proprio ruolo, di una propria identità, che la crescita inevitabilmente porta con sé, talvolta in maniera tutt’altro che pacifica) e le comunità di cui i fanciulli fanno parte. Comunità rappresentate, in primis, da quel nucleo fondamentale che è, appunto, la famiglia, ma anche da gruppi più ampi (gli scout, la comunità parrocchiale), che si allargano via via fino a comprendere la società stessa nella sua totalità. Ed è proprio questo continuo battibecco fatto di rifiuto e fascinazione che i ragazzini e la comunità si scambiano lungo tutta la vicenda a rappresentare la vera avventura del film (che poi è l’avventura stessa della maturazione), scandita da fughe, duelli, rapimenti e ogni altra peripezia, fino alla rassicurante ricomposizione finale di nuovi, sofferti equilibri familiari. È proprio quest’indagine della ricerca di sé al di fuori del proprio nucleo di affetti, e in rottura con esso, fino alla riappacificazione e alla costruzione di un nucleo nuovo che rende vivi e veri i due altrimenti bizzarri protagonisti, ottimamente interpretati dagli esordienti Kara Hayward e Jared Gilman, affiancati da un cast eccezionale composto, tra gli altri, da Bruce Willis, Harvey Keitel, Frances McDormand, Edward Norton, Tilda Swinton e gli immancabili Bill Murray e Jason Schwartzman. Da segnalare anche la bellissima colonna sonora, talmente caratterizzata da diventare quasi essa stessa un personaggio del film.