Matrix
The Matrix, USA, 1999, Lana & Andy Wachowski (R. e Sc.)
Il mito delle caverne aggiornato ai nostri tempi (o al 2199, stando alle stime di Morpheus). In Platone gli uomini fin da bambini sono incatenati dalla testa ai piedi; nei Wachowski
fin da feti sono imprigionati da cavi elettrici in una ‘placenta’ artificiale piena di liquidi. In Platone i prigionieri possono vedere solo il muro di fronte a loro e le ombre che vi scorrono sopra; nei Wachowski possono vedere solo il mondo trasmesso al loro cervello tramite un cavo. In Platone i prigionieri non sanno che alle loro spalle c’è un falò; nei Wachowski non sanno che attorno a loro ci sono computer.
Neo sospetta da sempre che qualcosa non funzioni, nel mondo, e questo lo porta ad avere una doppia vita: di giorno ragazzo d’oro e bravo dipendente, di notte hacker. Guarda caso, il depresso Neo si sente realizzato trovando falle nell’informatica. Ma i suoi dubbi e le sue crisi esistenziali vengono infine premiati, ‘salvato’ da un gruppo di umani già liberi; non impiega molto tempo ad abituarsi all’idea di aver sempre vissuto dentro Matrix, il mondo virtuale iniettatogli con una gigantesca presa USB direttamente nell’osso occipitale. Laddove l’ex prigioniero di Platone non vuole credere a quello che vede, cioè alla verità, e preferirebbe tornare a guardare le ombre alle quali è abituato (come d’altronde fa, nel film, il personaggio di Cypher), l’ex prigioniero Neo si sente invece liberato e una volta nel mondo reale padroneggia fin troppo bene questa sua nuova consapevolezza, riuscendo non solo ad entrare in Matrix senza avere crisi ma persino modificandolo a piacimento e necessità.
Mentre Neo vola, picchia, schiva proiettili con audacia ed entusiasmo lo spettatore viene invece assalito da una sorta d’inquietudine di fondo, per diversi motivi. Il primo è che in Platone l’uomo liberato esce e trova uno splendido mondo assolato (il bene!) mentre Neo trova distruzione e guerra. Pensiero condiviso appunto da Cypher quando tenta di tradire i compagni: se si deve vivere in quella maniera, sotto tensione e in preda alle difficoltà, pur lottando per una causa nobile, tanto vale rimanere ignoranti ma felici piombandosi in un sogno dove a risolvere i problemi ci pensano le macchine mentre l’uomo può accontentarsi di ‘vegetare’ tra denaro e passioni. Qual’è l’opzione migliore?
L’inquietudine trova il suo amplificatore nell’agente Smith, l’antieroe che dà la caccia ai ribelli: è egli stesso ad ammettere di essere un virus di sistema che cesserà di vivere quando avrà terminato il suo lavoro (eliminare gli ultimi umani), e non vede l’ora che ciò avvenga perché non ne può più di rimanere in quella realtà falsa che pur deve difendere, quello ‘zoo’ dove l’aria è nauseabonda, «ammesso che esista». In Matrix troviamo uomini che preferiscono un mondo da favola, per quanto fittizio, alla verità, e programmi che preferiscono la morte al mondo da favola. Anche il finale della trilogia non sarà risolutivo: le macchine non ‘libereranno’ gli uomini imprigionati come ci si aspetterebbe, ma concederanno loro la scelta tra la verità e l’illusione. Chi vorrà, insomma, potrà continuare a vegetare nella vecchia e conosciuta realtà virtuale di Matrix, vanificando le battaglie dei ribelli. E lo spettatore sarebbe disposto a rinunciare ad alcune delle sue idee, qualora riuscisse a comprendere che poggiano su false credenze?