Love Exposure
Love Exposure (Ai no mukidashi, Giappone, 2008)
Regia: Sono Sion
Sceneggiatura: Sono Sion
Montaggio: Jun’ichi Ito
Musica: Tomohide Harada
Cast: Takahiro Nishijima, Hikari Mitsushima, Sakura Ando, Yutaka Shimizu
Molto spesso il cinefilo si ritrova a vivere un ossimoro. E quando ci si confronta con Sono Sion, la sensazione aumenta esponenzialmente. Perché tra festival, riviste specializzate e blog, per qualche anno non si è fatto altro che parlare del cinema del regista giapponese, arrivato alla ribalta grazie a Suicide Club. Poi però, confrontandosi con il popolo bue, si scopre tutto il contrario. Ovvero che il piccolo cineasta nipponico, nonostante il blasone di cui si crede goda, lo conoscono (e amano) in quattro gatti. Ecco il motivo di un ennesimo scritto su Love Exposure, probabilmente una delle sue prime follie. Quasi quattro ore di film, con una trama che intreccia le storie di gruppi e bande di adolescenti ai margini, in cui si avvicenda di tutto. La genialità di Sono Sion si riflette nell’assoluta mancanza di punti di riferimento forniti allo spettatore, che rimane spiazzato perché incapace di capire se deve: ridere, piangere, riflettere, disperarsi, applaudire, abbandonare la visione o fare tutte queste cose contemporaneamente. Uno zibaldone, direbbe qualcuno. Un guazzabuglio, direbbe qualcun altro. In realtà una riflessione pesante e pensante sui giovani del nuovo secolo. Senza la paura di esagerare e rendersi ridicolo. Perché solo in questo modo è possibile ragionare, pensare, restituire un’immagine che sia completa, profonda e sfaccettata. Poche provocazioni nelle iperboli di Love Exposure, solo l’urgenza di mostrare un’età in continua evoluzione. E l’adolescenza è da sempre il momento delle comunità. Del fare gruppo condividendo interessi e attività. Il Giappone, soprattutto quello contemporaneo, ha una lunghissima fila di comunità giovanili. Ragazzi con le stesse passioni che grazie alle rete possono conoscersi, scambiarsi informazioni e fare amicizia. Quando questi interessi arrivano alla distopia la questione si fa cogente e spesso valica i confini nazionali. È da una di queste “passioni” che Sono Sion prende le primissime mosse per il suo Love Exposure (salvo poi sviluppare il lavoro su binari molto più complessi): c’era nella terra del Sol Levante, fino a qualche tempo fa, la moda di fare video e fotografie sotto le gonne delle ragazze. Si mettevano poi su internet e si dava inizio allo scambio e al dibattito. Ora in un modo o nell’altro questa “comunità” di voyeur è stata fermata… ma se si cerca bene, la rete è piena di comunità con abitudini simili, sempre più nuove e strambe.
Bizzarro immaginare che un film come questo abbia l’equilibrio come filo rosso tra la somma delle sue parti: perché non importa quanto Sono Sion salti da un genere all’altro, come misceli commedia, action e melodramma, quello che interessa è che tutti questi elementi non hanno problemi a coesistere e si bilanciano in modo naturale. Quello del regista giapponese è un film talmente misconosciuto che l’inquadratura della conturbante Hikari Mitsushima che mostra il dito medio è entrata nell’immaginario cinematografico dei cinefili di mezzo mondo.